P come… proprietà privata

P come… proprietà privata


[in Miniguida alle Linee guida dell’Educazione Civica]

Ma che c’entra la proprietà privata con l’ecologia?

Nel secolo scorso alcuni facinorosi ignoranti ebbero l’ardire di definirla ‘un furto’! 

Confrontandoci in classe nessuna/o è d’accordo con una tale affermazione: “Non ho rubato a nessuno il mio quaderno!”, “La bici? Me l’hanno regalata i miei; mi han detto che gli è costata due giorni di lavoro” e via discorrendo.

Possedere beni (cioè oggetti indispensabili, utili, o a cui teniamo per qualche ragione emotiva) è il frutto di una certa fatica, o impegno, mentre ‘furto’ “è quando ti prendono qualcosa con la forza o con l’inganno” osserva Antonietta, “.. e con meno fatica di quanta è costata a te”, aggiunge Raul, l’impetuoso.

Concludono Franco e Chiara: “in un gruppo-classe onesto, cioè di persone che si rispettano, nessuno/a ruba agli altri: eventualmente chiede in prestito e ricambia volentieri, per come può, la volta dopo.”

Ora che siamo lanciati, riusciamo a rendere la cosa più interessante? 

L’obiettivo è rispondere alle seguenti domande:

1) ciò che possediamo è sempre frutto della nostra fatica/impegno?

2) più possediamo e meno desideriamo possedere? Cioè: è possibile saziare questo desiderio?

3) se i beni sul Pianeta sono, in un certo lasso di tempo, in numero limitato (ad esempio il numero di alberi adulti quest’anno in una certa foresta), è possibile prenderne quanti ne vogliamo?

4) esiste qualcosa che sia contemporaneamente mio, tuo, nostro, di tutte e di tutti?

1) Bambini e bambine fanno in fretta a capire che ricevono dai loro genitori (anche se c’è qualcuno che già aiuta in casa, e ogni tanto riceve un piccolo premio!). I ragazzi e le ragazze più grandi ci tengono invece moltissimo a far sapere che il telefono nuovo l’hanno comprato “perché quest’estate ho lavorato” o perché “non ho comprato nemmeno un pacco di gomme”. Prima o poi, però, tutte/i dobbiamo ammettere che viviamo anche di quello che riceviamo (o non riceviamo!) dai genitori, dai nonni, dai bisnonni, dai bis-tris-quadris-nonni… 

Pensate che la scrittrice Naomi Klein, parlando del suo Paese, ha scritto: “è una storia che comincia con le persone sottratte dall’Africa e con le terre sottratte alle popolazioni indigene, due forme di esproprio brutale tanto incredibilmente lucrose da generare i capitali e il potere in eccesso necessari per lanciare l’era della rivoluzione industriale basata sui combustibili fossili” (1)

E qualcosa di simile vale per molte parti della vecchia Europa.

2) Il nostro Ugo è una buona forchetta. Gli chiediamo: “di solito, dopo pranzo hai ancora fame?” “Ma no prof, al massimo un po’ di languorino!”. Ridiamo! “E tu, Iris, che hai tre portapenne di matite colorate, ne vorresti ancora?” “Per ora no, prof.: la cartella pesa…”. Insomma: siamo più o meno tutti d’accordo sul fatto che un desiderio può essere soddisfatto.

“E allora perché uno come Elon Musk continua a lavorare?”  

L’antropologo Jason Hickel forse può aiutarci: “[…] il fine non è avere […] qualcosa di buono da mangiare nel pomeriggio, e non è nemmeno venderle per acquistare altri oggetti utili. Il fine è produrle e venderle per uno scopo al di sopra di tutti gli altri: realizzare un profitto. […] il profitto non è soltanto denaro guadagnato alla fine della giornata, da usare per soddisfare alcuni bisogni specifici: il profitto diventa capitale. […] scopo del capitale è essere reinvestito per produrre altro capitale. Questo processo non ha fine: continua a espandersi all’infinito. […] è totalmente sganciato da qualsiasi concetto di bisogno umano.” (2)

“Io però mi comprerei una maglietta nuova a settimana!”.

Samantha non è Musk, ma nemmeno una che le manda a dire.

“Il consumismo” osserva Zygmunt Baumann “associa la felicità non tanto alla soddisfazione di bisogni, ma piuttosto alla costante crescita della quantità e dell’intensità dei desideri”, e ancora: “il compito dei consumatori […] è quello di elevarsi al di sopra di quella grigia e piatta invisibilità e inconsistenza, facendo in modo di risaltare nella massa di oggetti indistinguibili […]” (3)

3) E’ giunto il momento della nostra mìmesi: prendiamo una scatola di gessetti colorati, la mettiamo sul tavolo e annuciamo: ”sono vostri, prendeteli”. Dapprima timidamente, via via con più convinzione i gessetti finiranno nelle mani di qualcuno: i più svelti ne prendono due-tre-quattro.., qualcuno uno solo.. forse altri resteranno a bocca asciutta. “Ora: lo scopo del gioco è avere più gessetti rispetto ai cinque minuti precedenti”. “Ma prof.. sono finiti!” “Sì, come gli alberi della foresta” “Però quelli rinascono!” “Acuta osservazione Silvano… fra dieci minuti comunque avremo una nuova scatola per un nuovo giro” “Ahhhh…. Però scusi: questo chi l’ha vinto?” “Visto quello che abbiamo letto prima facciamo che, al termine dei cinque minuti, chi ha più gessetti segna un punto, mentre chi ne ha più di quando è cominciato il turno ne totalizza tre.” Silenzio e sguardi interrogativi.

Nel caso migliore, prima che qualcuno inizi a puntare i compagni in cagnesco, Nour, o Lucilla, alzeranno la mano: “Prof. .. ma per vincere dobbiamo prenderli agli altri…” “… o dalla prossima scatola!”

Il Global Footprint Network ci segnala che nell’ultimo mezzo secolo almeno, molti Paesi consumano, in un anno, più risorse naturali di quante se ne rinnovino spontaneamente. Perchè questo sia possibile, non c’è strada migliore che sottrarle ad altri Paesi, o alle generazioni future.

4) “E quindi non possiamo avere nulla di nostro-nostro?” “Bè.. il vostro carattere, la vostra storia, le vostre emozioni, per esempio… Tutte cose che, tra l’altro, è spesso ancor più bello condividere!”

Però possiamo anche provare un ultimo gioco: immaginiamo di dedicarci al collage. Che sia bello, però: pieno di colori e frasi e foto diverse. Ognuno dovrà portare una propria rivista da ritagliare. “Sì, ma io qui non trovo niente..” “E io allora? I miei leggono solo in bianco e nero…” “.. che pizza: tutte foto di camere da letto e cifre..” “Io sono a posto: la mia rivista è fantastica!” 

No: l’inizio non è dei più promettenti! 

Fortuna che Emanuele ha proposto di mettere tutte le riviste al centro, e Giovanna di disporsi a cerchio intorno a quel piccolo tesoro: ora in classe ci sono venticinque collages uno più bello dell’altro.

“Alla metà dell’Ottocento, i ricercatori nel campo della sanità pubblica avevano scoperto che era possibile migliorare le condizioni di salute introducendo semplici misure igienico-sanitarie, come la separazione delle acque reflue dall’acqua potabile. Bastava costruire qualche impianto idraulico pubblico. Ma gli impianti idraulici pubblici richiedono opere pubbliche e fondi pubblici. E’ necessario requisire terreni privati […] avere la possibilità di scavare su proprietà private. […] Per decenni il progresso verso l’obiettivo dell’igiene pubblica fu osteggiato, non agevolato, dalla classe capitalista. […] La resistenza di queste élite fu vinta soltanto quando i comuni cittadini ottennero il diritto di voto e i lavoratori si organizzarono in sindacati. […] le città dovevano essere gestite per il bene di tutti, non soltanto di pochi. Questi movimenti ottennero non solo servizi igienico-sanitari pubblici, ma anche, negli anni seguenti, assistenza sanitaria pubblica, copertura vaccinale, istruzione pubblica, alloggi statali, salari migliori e condizioni di lavoro più sicure. Secondo la ricerca condotta dallo storico Simon Szreter, l’accesso a questi beni pubblici – […] beni comuni – ebbe un notevole impatto positivo sulla salute umana e favorì un innalzamento vertiginoso dell’aspettativa di vita durante il XX secolo.”

(Francesco Calliero, agosto 2024)

  1. Il mondo in fiamme – Feltrinelli, 2021 ↩︎
  2. Siamo ancora in tempo! – Il Saggiatore, 2021
    ↩︎
  3. Consumo, dunque sono – Laterza, 2007 ↩︎

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

top